Devo iniziare con un disclaimer: non sarò obiettivo.
Nel parlare di Dries (i giorni del pensiero cagnolino), Luca Sossella editore, di Vittorio Zambardino mi è impossibile distanziarmi dall’affetto e dalla stima che ho per l’autore, dal vissuto di quindici anni di felice frequentazione virtuale con lui su Facebook (molto più raramente nella vita reale), di scambi di idee, identità di visioni, facezie e triccheballacche. E dall’essere a mia volta padrone di cagnolina, cinofilo (non so se posso dirmi “canaro” nel senso in cui la categoria viene rappresentata nel libro), molesto postatore compulsivo di appelli all’adozione di cagnetti e cagnoni di ogni risma, uno che leggendo questo libro si è identificato in quasi ogni pagina nei pensieri, nelle emozioni, nelle paure e nelle piccole felicità quotidiane che il vivere da solo con un cane comporta (non per tutti, come Vittorio giustamente scrive: ma io faccio parte della sua stessa categoria, quella di chi chiede “perché quando parlate di un cane non vi si incrina la voce per la commozione?”, e di momenti di commozione leggendo queste pagine ne ho avuti tanti).
Dunque non vi aspettate distacco, equilibrio, ponderazione: la verità la apprezzo ma sono di certo molto amico di Platone. Confido però che i due possano andare a braccetto e non si mettano a litigare, come fanno spesso i nostri scriteriati cagnolini, privi ahimè di senso delle proporzioni, con cani molto più voluminosi che potrebbero papparseli in un sol boccone.
E dico che questo è un piccolo libro davvero molto bello, il cui valore va ben oltre il sospetto di essere un divertissement (?) per la nicchia dei cinofili, uno “sfizio” di un prestigioso giornalista in pensione. No: qui c’è carne e sangue, c’è una scrittura di altissimo livello, c’è profondità (scusate il termine, ma non me ne vengono di meno banali) e ironia, dramma ed emozioni. Talvolta dissimulate, mitigate da un’ostentazione di disincanto quasi cinico (tipico di Vittorio, che è un burbero dal cuore di burro, bellicoso, ruvido e sentimentale), ma vere e profonde.
“Dries” è una sorta di diario che racconta l’evento cruciale dell’incontro tra l’autore e il suo cane (anzi cagnolino, sottocategoria che viene qui definita peculiarmente) e di come questo evento abbia sostanzialmente cambiato, in meglio, le loro vite. Quella di Vittorio con maggior certezza. A tratti diventa un dialogo (finto, ché l’unica voce che si sente parlare in seconda persona è quella del narratore), e per un paio di capitoli si trasforma in un magnifico reportage narrativo sul quartiere di Roma in cui cane e padrone vivono e che attraversano quotidianamente nelle loro routine. Un microcosmo che, narrato davvero da maestro, descrive la contemporaneità come e meglio di un saggio: è letteratura di prima qualità, con tutto il suo valore aggiunto.
Ma il cuore di questo libro è il momento in cui si descrive quel particolarissimo “stato di coscienza” che il cane riesce a suscitare nella sua interazione col padrone. Citando Wim Wenders e il suo signor Hirayama (“Ieri era ieri, adesso è adesso”), Vittorio racconta quello che, alla fin fine, è un vero e proprio percorso di acquisizione di saggezza superiore ancorata al momento presente, il cane diventa una sorta di strumento di meditazione, uno psicopompo che accompagna verso la vita, e che spesso la salva, con la semplicità di un gesto come il farsi lanciare una pigna per rincorrerla e riportarla o la tranquilla contemplazione, l’ascolto e lo sguardo reciproco:
Non si può fuggire da se stessi, non si può cancellare il dolore, non si può eliminare l’ansia del presente o del futuro, ma si possono sfruttare anfratti di tempo e di vita che tu, cane, apri e rendi possibili. (…)Lungo il cammino del vivere ci sono ripari e nascondigli, se uno conosce Napoli capisce immediatamente che cosa intendo: quelle case tra le pieghe dei vicoli, su una terrazza pensile, con piante curate e bougainville indomabili che sporcano i pavimenti con le foglie cadute, stanze esposte ai tramonti invernali, in un silenzio irreale nella città dei rumori (…) sto dicendo dell’abitare a un piano diverso del grattacielo dell’esistenza, fuori dai livelli dedicati al bric-à-brac della competizione lavorativa e delle vicende amorose. Io e te abitiamo ai piani bassi: dove la mia mente affaticata non deve salire a piedi per troppe scale, quagli scalini pesano ogni giorno di più. Meglio il pigro crepuscolo. Si sonnecchia bene al suono del tuo raschio di gola.
Sono pagine di scrittura preziose, asciutte e precise, quelle di chi non solo è stato ed è, da giornalista, una brillantissima penna, ma di chi è davvero uno scrittore di qualità (chi lo conosce un poco lo sa bene), che ha tante cose da raccontare, e che deve (tassativamente, lo esigiamo!) raccontarci, ancora, e meglio.
Anche di questo dobbiamo ringraziare il cagnolino Dries: che da una sorta di eremitaggio è riuscito a far tornare nel mondo, nero su bianco, lo scrittore Vittorio Zambardino. Diamogli un biscotto, un osso, qualcosa che lo faccia felice (ci vuole poco, coi cani).