Lo hanno già fatto in tanti e anch’io vorrei condividere il mio ricordo personale su Oppà Oppà, quell’uomo morto ieri a Napoli di cui quasi tutti ignoravano il vero nome, un ordinario Umberto Consiglio, tutt’altra cosa rispetto a quell’onomatopea dall’aura fantastica, da personaggio di una saga di folletti e creature dei boschi – metropolitani, in questo caso – con cui era conosciuto e riconosciuto da tutti, nessuno escluso. Il suo nome era la frase-tormentone con la quale si rivolgeva imperiosamente ai passanti per mendicare qualche spicciolo. Frase per modo di dire, visto che per qualche problema fisico non era in grado di parlare normalmente, ma si esprimeva con fonemi disarticolati e perentori.
Tutti lo conoscevamo, ma davvero tutti. Personaggio ubiquo nello spazio e nel tempo, era presente in ogni luogo della città e nelle vite e memorie di giovani e vecchi. Aveva 88 anni: settant’anni fa, nel 1952, aveva 18 anni e probabilmente aveva già cominciato a popolare le strade e l’immaginario di tutti noi, tre o quattro generazioni di napoletani. A chiedere soldi ai passanti con quell’andatura veloce, sbilenca e a scatti e quella invocazione sempre uguale: Oppà Oppà: il pane, il pane. Era un folletto, un angelo, qualcosa di diverso dall’ordinaria umanità di strada. Somigliava un po’ a Franco Franchi, un po’ al pasoliniano Garofolo di Mamma Roma. In molti lo abbiamo pensato angelo, e non per caso. Era una persona in cui si leggeva una innocenza primordiale, selvatica. Una bontà amorale.
Come tutti, ripeto, ma proprio tutti, anche io l’ho conosciuto, fin da bambino, e ne ho un ricordo specifico che voglio raccontare.
Oppà Oppà veniva regolarmente nel nostro negozio a Chiaia, a farsi cambiare le monetine che raccoglieva. Andava da mia madre, che stava alla cassa, e con lei intavolava dialoghi paradossali, fatti di fonemi perlopiù incomprensibili e di risate. Mamma raccoglieva gli spiccioli, che facevano sempre comodo per dare il resto, e gli restituiva banconote. Quegli spicci lei non li metteva subito in cassa: li teneva da parte in un mucchietto e, dopo che lui se n’era andato, li “disinfettava” col profumo, in uno scrupolo igienista forse eccessivo (ma del resto il personaggio non era esattamente un esempio di pulizia). Uno dei rari casi in cui pecunia olet, almeno per un po’. Del resto eravamo una profumeria. Gli si voleva bene, a Oppà Oppà. E portava una ventata di buonumore. Lui la chiamava “Mammà”. E lei di nascosto si commuoveva. Mia mamma aveva il cuore tenero, in fondo. E scopriamo in queste ore di averlo, o di averlo avuto, un po’ tutti, qui, almeno a tratti. Per questo parliamo di un angelo: uno capace di fare piccoli, inosservati miracoli. Ciao Umberto, salutami Mammà, se la vedi.
Originariamente pubblicato su Facebook il 14 giugno 2022
Napoli e’ la porta aperta degli angeli sulla terra. In questo suo ricordo lei ce lo ha ricordato. I disabili in generale fanno si’ con la loro presenza di riattiavrci il cuore. Ci fanno un massaggio cardiaco ogni volta che emettono un verso, che sbavano, che non stanno nella norma dei normodotati. Sono la fantasia al potere. In Italia abbiamo questa fortuna di averlo capito e a Napoli specialmente “il diverso” e’ patrimonio dell’umanita’. Tuttavia il nazismo strisciante di ritorno di certo non ha smesso la mentalita’ segregativa e se non invertiamo la rotta politica presto li toglieranno alla nostra vista “i diversi”. Gia’ lo stanno facendo con i nostri fratelli africani che sono rinchiusi per “detenzione amministrativa” per privarci della vista e dell’olfatto. La cosa terribile e’ che ci stiamo abituando alla sottrazione del cuore. Lottiamo perche’ questo non avvenga! Ora e sempre Oppa’ Oppa’!