Quasi ogni giorno attraverso in scooter la strada alberata che costeggia il mare da Bagnoli a Pozzuoli. Via Napoli, si chiama. E Napoli è giusto un passo di là, alle spalle. Se ne vede la collina di Posillipo, si intuisce Fuorigrotta e tutto quel che c’è oltre. Se ne immaginano i clamori operosi mentre qui, da questo lato, nella stanza a fianco, silenziosa e fresca, sembra ci si possa fare solo il pisolino, stendersi al sole, ascoltare distrattamente i rumori a basso volume del mare, del vento, di qualche auto che passa con discrezione, di un cane che sbadiglia.
E’ una meraviglia tenue, questo mare. Il golfo di Pozzuoli. Enorme e vicinissimo, pigro e discreto. Si spenderebbero volentieri aggettivi enfatici per quel che si vede, specialmente quando il sole è basso, di mattina presto, con le barchette al largo e magari un po’ di foschia laggiù in fondo, o al tramonto, quando il sole cala dietro Baia e spruzza il cielo di colori insospettabili, tra le nuvole sfrangiate e le prime stelle della sera. Ma poi l’enfasi si disfa. Meraviglia, sì, una meraviglia. Ma una meraviglia che non ti va di dichiarare ad alta voce. Una meraviglia umile, piena di gratitudine, da dire a bassa voce, ché l’entusiasmo eccessivo non si addice a questo posto. Non per vezzo aristocratico o per buona educazione, no, per carità. Per pigrizia piuttosto, il ritegno indolente di chi ha di meglio da fare che entusiasmarsi, al rischio di fare fatica: solo essere lì, parte del cosmo, natura senza pensieri, tollerante di ogni cosa.
La stessa apparente indifferenza che ha accumulato nel paesaggio tutto e tutto ingloba senza stridore, senza conflitto: il mare, il carcere minorile sull’isolotto, l’acciaieria dismessa, i pescatori, gli alberi, il pontile chilometrico, gli scogli sotto la strada, il tufo penetrato dalle agavi e dai rampicanti odorosi e l’asfalto, e il pavé; i ristoranti e i lidi, e le piccole oasi solitarie. Le barche e le automobili e le case e le salumerie silenziose. La luce sempre limpidissima, chissà perché.
Qui non c’è chiasso, tranne la sera, d’estate, quando fiumane di giovanotti e signorine violano con arroganza, rumore, motori, risse e vestiti della festa questi luoghi per loro natura discreti e silenziosi. Un piccolo stupro senza conseguenze. Perché se ne può violare la superficie, il corpo che tutto tollera e smaltisce, ma non intaccarne la natura, eternamente refrattaria al fracasso. Per poche ore, al sabato, poi è di nuovo Apollo a prendere il potere. Un Apollo vagamente levantino, accidioso e bonario.
Il golfo di Napoli, quello famoso, col Vesuvio grande grande, sontuoso e imbellettato, fa clamore, è un po’ smargiasso. Non sopporta la mancanza di meraviglia, cerca l’ossequio complimentoso. In quel salone pieno di case, di paesi, di persone, di cielo e d’acqua, si fa festa, volano i turaccioli, si sentono le tarantelle e i botti, e gli spari, e alle volte le sirene delle ambulanze. Qui, nella stanza sul retro, quella meno esposta, i rumori arrivano attutiti, lontani. Qui si preferisce sonnecchiare beati, vicino alla finestra che dà sul giardino. Un giardino dove arriva, piano, il fruscio discreto del mare. E persino, a volte, quello delle nuvole.
Originariamente pubblicato su Facebook il 15 maggio 2015