26 Aprile 2025

Digestivo AntonettoVenerdi scorso, ho visto a Torre del Greco il concerto di Nicola Arigliano col suo nuovo quartetto.
Ora, va detto che per me Arigliano non è semplicemente un arzillo vegliardo che è stato recemente riscoperto come un eccellente cantante jazz, coperto di premi e riconoscimenti tardivi, riportato a Sanremo dopo quarant’anni con una splendida canzone, perennemente in giro a suonare con invidiabile energia eccetera eccetera.
Quest’uomo, nel mio immaginario, è ricoperto di valore aggiunto. La sua faccia nasuta, buffissima, mi è familiare da quando ero in fasce. Lui era l’uomo del Digestivo Antonetto, quello che è così comodo che si può prendere anche in tram, quello che brandendo una paletta da vigile urlava “gruppo vacanze piemonte! si parte!…” per poi fare da intrattenitore canoro in un bus di gitanti dallo stomaco in disordine. Il fatto che fosse, o fosse stato in tempi precedenti un cantante era un elemento del tutto marginale. Nicola AriglianoCome Calindri, altra icona dei Caroselli, o come l’uomo in ammollo Franco Cerri (altro eccellente jazzista che, per ironici destini, è stato uno dei suoi accompagnatori dal vivo negli ultimi tempi), era un’entità indissolubilmente legata al prodotto che reclamizzava, e a null’altro. In televisione a quei tempi lo si vedeva solo lì, a differenza di un Paolo Ferrari, che oltre a tentare senza successo di turlupinare le massaie italiane propinando loro due fustini di un detersivo anonimo e scadente in cambio di un Dash, almeno era anche l’assistente di Nero Wolfe.
Andando quindi a vedere un suo concerto (cosa che ho fatto due volte in un anno) o ascoltando un suo disco, mi sento di officiare anche un piccolo rito di riconciliazione tra infanzia e presente. Mi sento in pace col cosmo e con me stesso. E mi diverto un mondo. Davvero.
Perchè Arigliano è sempre stato uno che si diverte a cantare ed a scherzare con lo swing, senza prendersi mai troppo sul serio. Condisce il suo stile ineccepibilmente jive con olio di Bitonto: i suoi “salutame a soreta” e “grazie assai” insaporiscono lo spettacolo come il peperoncino fresco un piatto di orecchiette. Nicola Arigliano (oggi)Ora poi che ha ottantatrè anni, gioca anche con consapevole malizia a fare la parte del vecchio rincoglionito, e lancia i suoi esilaranti tormentoni ad ogni canzone (“il maestro xxx ora improvvisa sul tema”. “Ecco l’assolo del contrabbassista detto il Reverendo Otis” e così via).
In questa occasione, al posto del pianoforte, c’erano una chitarra ed una fisarmonica piuttosto krameriana. Il suono quindi risultava un po’ più crepuscolare, e particolarmente suggestivo nelle ballads. Nessuna sorpresa, ovviamente, per chi lo conosce. Per chi non lo ha mai visto dal vivo, un consiglio: non lasciatevelo sfuggire. Dopotutto, ha ottantrè anni. E gli auguriamo di andarsene in giro a cantare per altri venti. Ma tra vent’anni magari rimpiangerete di esservene persi diciannove senza averlo visto quand’era giovane.

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