26 Aprile 2025

Mio fratello è figlio unicoComincerò questo post con una citazione ammiccante di quelle che ti fanno fare una gran bella figura da intellettuale di mondo. Alberto Savinio, parlando (ahimé) di Erik Satie, citava a sua volta il rivoluzionario russo Kropotkin, che nelle sue memorie da carcerato, si descriveva intento a percorrere “..ogni giorno, per mesi ed anni, a fine di neutralizzare gli effetti dell’inerzia corporale… tanti passi avanti e indietro nella sua cella…. quanti ci vogliono a colmare una distanza di otto chilometri. Come abbia fatto a non uscire matto, io non so capire: penso tuttavia che non sfuggirebbe alla pazzia colui che ogni giorno continuasse a sognare le musiche “normali” di Erik Satie, nelle quali i suoni, ogni tre passi, sbattono sulle pareti di una ineffabile cella.”

Fatte le dovute distinzioni, e premesso che a me Satie invece piace moltissimo, trovo che l’immagine si attagli bene a certo cinema italiano di oggi. Non a tutto, non a tutti, ma certamente a quello medio, per quel che vuol dire.

Prendiamo per esempio quest’ultimo lavoro di Daniele Luchetti. Dovessi dire che non mi è piaciuto per niente o poco, che lo trovo brutto, direi senz’altro una bugia. Però….

Però ho avuto per tutto il film la sensazione della opportunità non colta, della possibilità di allargare le pareti, di dar aria alla storia, alle immagini, allo spazio narrativo, finita ogni volta con l’inesorabile cozzo contro il muro (del tinello, quella famosa metafora dell’anemia cinematografica italiana, di solito abbinata a due camere). La sensazione che molto più in là non si può, non si riesce ad andare. Pure quando si ha a disposizione un’ottima idea narrativa di base, dei bravi attori e tutte le migliori ambizioni (ma sarà vero?) di sfondare la parete.
Andiamo per ordine. La cosa che secondo me fuoriesce con chiarezza è che il libro da cui è stata tratta la sceneggiatura, Il Fasciocomunista di Antonio Pennacchi, dev’essere molto bello. Interessante ed inconsueto. Il romanzo di formazione di un rissoso ed inquieto ragazzo della più profonda provincia laziale, prima seminarista, poi picchiatore fascista, poi comunista, sempre alla ricerca insoddisfatta e frustrata di un suo spazio ideale e personale, sempre contro qualcuno, e assai spesso contrapposto all’amato-odiato fratello, bello, carismatico, vincente e narciso. Un’avventura che contempera il registro drammatico e quello comico, senza mai dimenticare il contesto storico di quel turbolento momento della nostra storia. Nel film, Elio Germano è davvero bravo e credibile nell’incarnare Accio, così come anche il ragazzo che lo interpreta da piccolo, e tutta una folta schiera di eccellenti attori (Anna Bonaiuto, Luca Zingaretti, Angela Finocchiaro tra gli altri). Scamarcio fa la sua parte da beltenebroso senza alcun particolare guizzo, ma nell’insieme funziona.
E allora? Dov’è il problema?
Questo è, secondo me, un film che s’accontenta. Un film miope, dallo sguardo e dal respiro corto. Lo stile crea un equivoco. Molti primi piani, camera a mano, nessuna cura particolare della forma in senso estetico, spartana economia espressiva. E’ probabile che Luchetti abbia voluto ricreare anche nello stile l’oppressione quasi carceraria della provincia proletaria e dei suoi miseri spazi, interiori ed esteriori. Ma la storia si allarga, fisicamente e narrativamente. L’Italia, la Storia, il Mondo entrano, anche se occasionalmente, nella vita dei protagonisti. E lo sguardo resta miope, minimo, modesto, tanto visivamente che narrativamente. Non so se ho reso l’idea. Al confronto, La meglio gioventù sembra Spielberg. E poi, credetemi, io avrò delle fisse maniacali, ma mi sembra assolutamente inaccettabile la sciatteria, gli anacronismi nei dettagli d’ambientazione in un film in cui è così importante il contesto storico. Manifesti delle liste elettorali coi simboli a colori nel 1962, Il simbolo del MSI nel ’68 con la scritta “Destra Nazionale”, modelli di auto probabilmente non ancora usciti nel momento in cui li si vede e via dicendo. Ma il massimo lo si raggiunge quando, in una scena ambientata intorno al 1970, da una Fiat 600 sbuca Anna Bonaiuto, estrae un pacchetto di Merit (!) e se ne fuma una, avendo cura ovviamente di impugnare il pacchetto bene in favore di cinepresa. In effetti, a voler essere positivi, ci sono anche degli spunti da fantascienza. La pubblicità oltre i confini dello spaziotempo.
Il film finisce con una canzone di Nada che tutti ci chiedevamo che c’entrasse, così come aspettavamo di capire la congruenza almeno canzonettistica di Rino Gaetano. Ma abbiamo aspettato invano una risposta.

Il conto:
Spesi: 7,50 euro
Valore effettivo: 5,50 euro
Bilancio: -2,00

9 thoughts on “Mio fratello è figlio unico

  1. Hai proprio ragione: il film é miope, di vedute strette. E dici bene che il cinema italiano fa i suoi cinque passi avanti per poi andare a sbattere contro il muro di una cella (a me è venuta subito in mente quella di Boiati dove fu rinchiuso Alekos Panagulis, raccontato dalla Fallaci. I passi erano meno di cinque). Non basta avere un buon libro come base per la sceneggiatura, a riprova che purtroppo una buona scrittura non sempre fa un buon film. Peccato per i dettagli: ho tentato invano di trovare un errore e non l’ho trovato; forse semplicemente perchè non avrei potuto. In quel periodo non ero nemmeno in programma (questo non vuol dir molto, lo so e di certo non vuol dire che chi se ne è accorto é un vecchietto…).
    Invece nutro sincere speranze per number 23. Ma é d’oltreoceano.
    Bacio

  2. Del tuo commento, Tinetta, apprezzo tutto. Ma più d’ogni altra cosa il riferimento alla non necessaria senescenza di chi si accorge degli errori storici…. 🙂
    Bacio a te

  3. Grazie per i complimenti al libro che però – mi pare d’avere capito – non hai letto. Leggilo allora (se mi mandi un indirizzo te lo faccio spedire) e poi vedrai che i problemi di quel film, soprattutto nel secondo tempo, non sono di camera da presa, bensì di scrittura cinematografica. Quei due – avendo fatto una volta bene, secondo loro, La meglio gioventù – hanno voluto fare pure con la storia mia La meglio gioventù-2. E così hanno rovinato anche la mia.
    Delle Merit non m’ero accorto. Ma tu ti sei accorto che non c’è nemmeno un eskimo? Scannastorie.

  4. E’ una sorpresa molto piacevole ricevere un commento direttamente dall’autore del libro da cui è stato tratto il film. Grazie, Antonio. Ora non potrò sottrarmi al dovere di leggere il tuo romanzo.
    Non ho dubbi, come ho già scritto, che sia di gran lunga superiore al film. Per il resto, i dettagli credo siano la cartina di tornasole dell’attenzione, dello scrupolo e dell’amore con il quale si possono fare -più o meno bene- le cose. La tua osservazione sugli eskimo (di quelli non m’ero accorto io, uno pari) me lo conferma. Comunque, e finisco, capisco la frustrazione di un autore che vede in qualche modo tradita la propria opera nel passaggio sullo schermo. Ma io, e credo molti come me, hanno ben compreso che i limiti del film stanno tutti nella pavidità dei realizzatori e non certo nel tuo romanzo.
    Un abbraccio
    Marco

  5. No, Marco, non è un problema di “pavidità”, così come la mia incazzatura non è di tipo etico bensì estetico. Io non sono cioè deluso perché quelli “hanno tradito il mio libro”, ma perchè lo hanno tradito da cani. Non lo sanno proprio più scrivere – dai retta a me – il cinema. Hanno fatto un secondo tempo che non riesce a concludersi: gli resta appeso. Me lo avessero saputo tradire bene il mio libro, mi sarei tolto il cappello. Avrei continuato naturalmente ad essere incazzato sul piano personale per il modo in cui m’hanno espropriato, ma sul piano estetico mi sarei stato zitto. Invece qua va a finire che prima o poi ci scrivo un saggio, su come quelli non sanno scrivere un film.

  6. Forse non ho usato l’espressione più appropriata, parlando di tradimento. Sono assolutamente daccordo con te. Anzi, ritengo che per trasporre con efficacia un libro in un’opera cinematografica sia quasi sempre necessario “tradire” l’originale: è nella natura delle cose, nella differenza sostanziale tra i due media. Ciò non toglie che nel caso di cui parliamo, come giustamente dici, il tradimento è riuscito male. Tu ti focalizzi -molto opportunamente- sui difetti di sceneggiatura, io sono rimasto colpito in generale dall’approssimazione, dal tirar via, da una mancanza di ambizione e di precisione, di “cura”, di rischio. Ma credo che siano solo due differenti modi di guardare lo stesso oggetto, piuttosto bruttino.

  7. Mi intrometto…Su ‘La meglio gioventù’ ho sempre nutrito un certo sospetto anche io. sia per la massiccia operazione di riduzione dei personaggi a ‘tipi’ sia per il triste e stucchevole filo rosso che li accompagna. La seconda parte del film ‘Mio fratello é figlio unico’ (molto meno bello del titolo del libro, naturalmente) non ‘tiene’, si, ma soprattutto non capisco perché un finale così, non solo aperto, ma soprattutto sospeso, soprannaturale, in un film che invece in molte parti era riuscito ad essere concreto e fermo. Anche io però, devo dirlo…non ho letto il libro.

  8. Sono capitato qui per caso, domani parlerò di questo film in un cineforum e volevo leggere opinioni in giro.
    Non entro nel merito delle tue, il cinema a mio avviso, vive impresso su una pellicola uguale per tutti, e sugli occhi di chi lo guarda che invece sono sempre differenti.

    Quello che mi interessava in realtà era sapere cosa Pennacchi pensava del Candido di Sciascia.
    Io non ho letto “il fasciocomunista”, ma vedendo il film (più volte) ho scovato analogie (ideali) notevoli tra il personaggio di Candido e Accio.
    Da qui la voglia di leggere il libro per scoprire se fosse “merito” del lavoro cinematografico o se tutto questo fosse già presente nel libro da cui è tratto il film.
    Saebbe interessante sentire un parere in merito dall’Autore.
    PErò vedo che il post è vecchiotto, quindi dubito che ciò possa accadere facilmente.
    Va beh, ad ogni modo è stato un piacere passare di qui!
    Buone cose D

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