26 Aprile 2025

Moustache (Lou Jacobi)Poichè si è verificata, ahimé, di nuovo la terribile onda di latitanza blogghistica, quasi da record, i sensi di colpa crescono. Piuttosto che recuperare con diligenza tutto l’arretrato cinematografico e/o di idee e spunti per una quantità di post potenziali (ne ho una to-do list ricolma), provo a lenire gli scrupoli così, con un’operazione diaristica iperpersonale, scritta clandestinamente dal posto di lavoro (uno scrupolo se ne va e ne subentra un altro), e scusatemi per l’ombelico. Poi ritorno a fare o a cercare di fare il blogger serio e rigoroso.
Succede che stamattina, arrivato in ufficio fradicio per la pioggia presa in motorino, mentre passavo i calzini bagnati sotto il getto caldo dell’asciugatore in bagno -operazione penosa e clandestina ma indispensabile-, riflettevo su alcune piccole e quasi dimenticate esperienze della mia vita passata, che solo nel pronunciarle assumono sapore letterario, e danno un tono da persona vissuta. Tipo questa:

Ho vissuto, anni fa, per qualche mese a Roma, in una casa in cui una stanza era occupata da un camionista toscano. Con il quale sorsero alcune discussioni, provocate dalle rimostranze del padrone di casa -che nove mesi all’anno viveva in Inghilterra, dove faceva il cantante e si faceva chiamare Dali, e gli altri tre a Roma, dove invece fotografava le scolaresche a fine anno e si faceva chiamare Pietro- circa l’identità dell’anonimo autore di pisciate senza alzamento della tavoletta, atto che lasciava inequivocabili tracce sulla scena del crimine. Successivamente la coinquilina diventò una ragazza brasiliana, bionda, non particolarmente bella e piuttosto scorbutica, con la quale le discussioni insorte furono varie -era una vera simpaticona-, ma soprattutto quella sulla molestia acustica che le procurava, in mia assenza ed in sua presenza, la segreteria telefonica che avevo installato, e che quando qualcuno lasciava un messaggio emetteva un bip ad intervalli regolari. Effettivamente era piuttosto fastidiosa -la segreteria, ma a pensarci bene anche la ragazza-.
Lei -la ragazza, non la segreteria- si chiamava Branca, come il fernet. Forse perchè le stavo sullo stomaco.

E’ che, a una certa età, si sente l’esigenza di tesaurizzare la propria esperienza, nel terrore di non avere nulla da raccontare, soprattutto se si scrive. Quindi è opportuno non lasciare sfuggire le occasioni che si hanno -l’asciugatura del calzino può ispirare molto- per potersi sentire come il Moustache di  Irma la dolce , che ogni tanto raccontava le sue più straordinarie ed eterogenee esperienze passate, concludendo sempre con “…ma questa è un’altra storia!…”

Questo si chiama fare un blog autoreferenziale!

5 thoughts on “Vita vissuta, calzini, e baristi

  1. Cari lettori di questo blog, penso che a furor di popolo possiamo inserire l’idea di mister Cronopio che deumidifica i calzini clandestini sull’asciugatore del bagno come una delle più potenti immagini trash degli ultimi anni….

    Non solo: l’idea che in meno di due secoli il compito di esprimere una funzione evocativa sia passato dalle madeleines di Proust ai calzini bagnati alfaniani esprime il declino dell’Occidente con una potenza francamente raccapricciante….:-)

  2. Benvenute le tue latitanze bloggaiole, telefoniche e (vabbè, ne bastano due) se producono tempeste di energia creativa..leggo l’incipit di un racconto (un romanzo?) ho saputo a spizzichi una cosa incredibilmente grossa (il nuovo gruppo con l’impegno che ti sei preso per quella scadenza…) che non ho avuto nemmeno il tempo di complimentarm..e poi c’è il “nostro” progetto (si, ho scritto così)..insomma quanta carne a cuocere nei momenti di apparente buio..buon cose, buone cose, Marco.

    ps..da blog autoreferenziale a blog aziendale, tanto per vedere cosa succede.. http://www.dececco.it/blog

  3. Interessantissimo il blog della De Cecco… La ricetta dei “Bombardoni ripieni” è capace di far venir fame a un anoressico!

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