26 Aprile 2025

Village PeopleNon ho letto i libri di Antonio Scurati. Ne ho lette qua e là opinioni e recensioni che non mi hanno particolarmente invogliato ad approfondire. Ma ho ascoltato e letto suoi interventi su giornali, in tv, sul web: quanto basta per farmi sviluppare un solido pregiudizio. Mi è sembrato un personaggio molto compreso nel ruolo che intende attribuirsi (e che molti sono disposti a conferirgli): quello dell’intellettuale pensoso e amareggiato, in costante interrogazione (più spesso in costante pontificazione, che se si limitasse ad interrogarsi, sarebbe molto meglio) sui mali che affliggono la nostra società, la nostra cultura, le nostre menti ottenebrate dallo sfacelo contemporaneo. Uno che ci svela continuamente di che lacrime grondi e di che sangue questo orribile occidente consumista eccetera eccetera. Un tromboncino moralista e narciso insomma, del tutto privo di ironia, dalla fronte corrugata, sempre intento ad agitare il ditino ammonitore dall’alto della sua consapevolezza di intellettuale gravato del male del mondo e della trista missione di portarne tutto il peso per rivelarcelo.

Se avevate dubbi sul mio pregiudizio, penso di averli fugati: ce l’ho senz’altro. Poi magari mi leggerò un suo romanzo e scoprirò il nuovo Dostoevskij, chi può dirlo. Ma non starei qui a parlarne se non mi fossi imbattuto ieri, su La Stampa, in un suo articolo, scritto in occasione del trentennale della scoperta del virus dell’AIDS. Questo il link (non ne ho trovato uno diretto sul sito del quotidiano). Titolo: ” AIDS, Ha 30 anni l’apocalisse dell’edonismo” (in prima pagina) e/o “Il macigno che distrusse l’illusione dell’edonismo” (nelle pagine interne). E già si può intuirne il contenuto. In sintesi: l’AIDS è stato il tragico disvelamento, la cifra simbolica e non solo dell’orribile realtà del consumo (in questo caso sessuale) e del profitto che la perversa società occidentale degli anni ’80 spacciava per vitalismo, liberazione dei costumi, ricerca della felicità. Ma è meglio far parlare direttamente Scurati, per capirci meglio.

Un decennio lungo trent’anni e durato fino a oggi. Anzi, fino a ieri. Trent’anni di fasulla e perfino lugubre joie de vivre sottilmente venati da un corrosivo presentimento luttuoso.

E vabbè, questione di gusti. Andiamo avanti.

nella società occidentale che si autorappresenta come ricca, sana, festosa, libera e gaudente, il party sfrenato continua fino alle prime luci dell’alba. Buttati dietro le spalle gli anni ’70 degli ultimi conflitti sociali manifesti e delle ultime dure lotte politiche, si predica ovunque euforicamente il nuovo verbo della società dei consumi, il cui hard core culturale e commerciale sta proprio, non a caso, nello scatenamento dei consumi sessuali. Ogni merce, anche la meno eccitante, viene sapientemente investita da un flusso di pulsioni libidinali ad opera di una legione di pubblicitari. La «liberazione sessuale», massima conquista dei movimenti di contestazione dei decenni precedenti, viene pervertita e irradiata sull’intero spettro delle merci. L’imperativo è uno solo: consumare, spandere, godere. Tre verbi che stanno chiaramente su di un continuum temporale e semantico con l’atto ed il concetto di «scopare».

Uhm. Fammi capire, Scurati. Le scopate consapevoli e politicizzate degli anni ’70 erano sane, e quelle edoniste degli anni ’80 “pervertite”?! Beh, forse, chi può dirlo. Ma qui non si parla -almeno spero- di etica, di approccio morale al sesso, giusto? Qui si parla di AIDS. Di un virus che si trasmette sessualmente (e non solo, come vedremo poi). E, ai fini pratici (scusa il tecnicismo, il pragmatismo poco umanista, viziato da freddo scientismo), il virus se ne fotte dello spirito con cui scopi: se non ti sei preso l’AIDS negli anni ’70 o ’60 (ma magari sifilide, gonorrea ed altre piacevoli alternative si) è stato solo per una circostanza extraculturale, non certo perché si scopava meglio o meno. Mi sbaglio? Non so, andiamo avanti ancora.

Per le donne e gli uomini della mia generazione, nati tra la fine dei ’60 e il principio dei ’70, l’AIDS fu una prima apocalittica rivelazione riguardo alla fatuità e falsità dell’ideologia edonista profusa prima dai gruppi di potere e poi dai ceti di governo proprio a cominciare dagli anni ’80. La sperimentammo sulla nostra pelle quella menzogna anzi – è proprio il caso di dirlo – nella nostra carne. Ci affacciammo, infatti, all’età biologica del godimento sessuale proprio quando l’agghiacciante consapevolezza riguardante il diffondersi della malattia proclamava che la festa era finita (sebbene alcuni uomini degli anni ’80 si siano ostinati a negarlo fino a ieri, anzi, fino a oggi). Raggiunti i sedici anni, quando, carichi di ormoni e di fantasie sessuali alimentate dalla dilagante nudità dei corpi, ci sentimmo pronti a buttarci nell’orgia scatenata dai nostri fratelli maggiori che erano passati dalle ammucchiate fricchettone alle agenzie pubblicitarie, ci dissero che l’orgia era un brodo di cultura d’infezione. Non avremmo addentato il frutto proibito, e non per timore del peccato ma perché era un frutto avvelenato. Per noi occidentali, l’AIDS infettava direttamente il cuore della nostra mitologia tardo-moderna. Era una piaga tipica della società dei consumi, strettamente correlata agli «stili di vita», recentemente elevati a suprema ideologia libertaria

Qui non cadrò nella tentazione di fare una grossolana ironia per attribuire l’appassionato sdegno moralista di Scurati ad una frustazione giovanile da promesse di coito tragicamente disattese.  Benchè di qualche anno più grande di lui, posso assicurare, testimoni alla mano (espressione quantomai pertinente, mi rendo conto dopo averla scritta), che mi darei la zappa sui piedi, essendo stato all’epoca tutt’altro che uno sfrenato libertino.

Ma tornando al punto, l’AIDS, sostiene il nostro, è stato un’ apocalittica rivelazione. Non il problema, la tragedia, l’argomento: ma un elemento di verità, che rivela il vero problema, e cioè la fatuità e falsità dell’ideologia edonista profusa prima dai gruppi di potere e poi dai ceti di governo. Le ammucchiate fricchettone non si capisce se facessero parte della stessa diabolica manipolazione del potere (davvero diabolico: la cultura dominante che crea la controcultura per poi poter affermare la contro-controcultura dell’edonismo consumista, altro che Orwell!) oppure se, essendo espressione del periodo precedente, ancora espressione di genuini conflitti politico-sociali, debbano essere considerate per questo senza macchia, e quindi per un’evidente Volontà Superiore, esenti da virus. Virus che peraltro, omissione non secondaria, si trasmette non solo per via sessuale, ma per contaminazione ematica. Per lo scambio di siringhe infette collegate all’uso di eroina, droga le cui radici “culturali” forse non sono precisamente quelle dell’efficientismo vitalista degli anni ’80 e seguenti. La cocaina non sembra fornire apocalissi e rivelazioni, peccato.

Più vado avanti a leggere e più mi pare che il delirio moralistico di Scurati, infuocato dalla più consunta retorica apocalittica (in senso largo, culturale, adorniano), approdi, sotto le spoglie ipocrite di un grido di dolore “umanistico”, ne più ne meno che al bigottismo ipocrita di stampo clericale. Leggasi sotto:

Ci è stato giustamente insegnato che trasformare una malattia in metafora è gesto spesso ideologicamente perverso ma è davvero difficile non notare come l’ossessione del «rapporto protetto» sia presto diventato un paradigma per l’Occidente in crisi dei decenni successivi. Dalla metà degli anni ’80 in avanti, (…) non essendo affatto propensi a rinunciare al nostro sfrenato godimento, volendo anzi continuare a lussureggiare anche in futuro, (…) abbiamo creduto di poter continuare ad andare a letto con lo spirito del tempo dei fatui e sciagurati anni ’80 indossando un preservativo, una piccola guaina di lattice immunizzante che ci garantisse l’orgasmo preservandoci, però, dal contatto con la realtà del mondo, dell’altro e, soprattutto, di noi stessi.

Insomma, Scurati è talmente attratto dal concetto di perversione che un rigo dopo avercene messo in guardia, come conseguenza di un incauto uso retorico, la abbraccia senza riserve e conclude, con un altissimo volo nei cieli della morale, stigmatizzando più o meno esplicitamente l’uso del preservativo, che, tra gli altri problemi più o meno metaforici, ci allontana dal mondo, dagli altri e da noi stessi. Perchè non siamo propensi a rinunciare al nostro sfrenato godimento. C’è solo da scegliere tra Ratzinger e Ferrara. Ma forse il modello originario è da ricercarsi altrove: in una frase pronunciata, molti anni fa, dall’allora ministro della sanità italiano Carlo Donat Cattin, il quale, di fronte alle prime evidenze dell’emergenza HIV, dichiarò che l’AIDS “non se lo prende chi non se lo va a cercare”. Appunto.

1 thought on “Pentitevi!

  1. Visto che l’articolo esclude che le radici culturali dell’eroina siano “quelle dell’efficientismo vitalista degli anni ’80 e seguenti”, sarebbe interessante sapere quali sono le radici culturali dell’eroina. Da qualche malato paranoico sento dire che le radici siano proprio quelle, cioè dice che gli Agenti della Reazione (efficientismo vitalista ‘80) abbiano contribuito alal diffusione dell’eroina per stroncare un magma sociale che supinamente efficiente non voleva diventare. Tutte masturbazioni mentali.

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