Quando si va a vivere da un’altra parte, bisogna organizzarsi per tempo, non lasciarsi prendere dai capogiri, essere scrupolosi ed ordinati. Fare un inventario delle cose da trasportare, fare un sopralluogo nel posto dove si è vissuto per anni come se ci si venisse per la prima volta, guardare gli oggetti che ti hanno accompagnato tutti i giorni con lo sguardo obliquo del decimatore, questo si questo no, oppure dello smistatore di profughi, questo di qua questo di là. Non lasciarsi commuovere dalle lacrime dei posacenere di onice, dai gemiti corali delle bomboniere tremolanti sul tavolinetto, dagli ammiccamenti maliziosi di un sottobicchiere con la tour Eiffel disegnata sopra. Disdire i contratti, salutare i vicini di casa, lasciare una mancia al portiere. E sincerarsi di avere collocato ogni verbo col complemento giusto, che non si scopra poi di aver lasciato mance ai vicini, salutato i contratti, disdetto il portiere. Accertarsi inoltre che il trasportatore abbia scritto bene l’indirizzo di prelievo e quello di destinazione, e nella sequenza giusta. Assicurarsi che le cose grandi passino dalle porte o dalle finestre, che magari nel frattempo le cose sono diventate ancora più grandi o le uscite si sono rimpicciolite, che ne puoi sapere. E verificare che le cose piccole siano ancora visibili ad occhio nudo. Acquistare a questo scopo una lente tonda con manico, modello Holmes, senza farsi rifilare dal negoziante né pipe né mantelline, sordi ad ogni lusinga commerciale, diritti per la propria strada. Procurarsi invece in abbondanza contenitori, scatole ed imballaggi acconci per tutte le esigenze ed eventualità.
C’è poco tempo, il furgone sta per arrivare. Bisogna agire con rapidità ed esattezza. Ogni oggetto va messo insieme a quelli che gli somigliano e confezionato nel modo più conveniente alla sua sostanza: le cose fragili avvolte nella paglia, nella carta di giornale, tra palline di polistirolo in una scatola dove scrivere a lettere grandi FRAGILE. ATTENZIONE. ALTO. MANEGGIARE CON CAUTELA. VUOI STARE ATTENTO, DIAMINE! Le cose pesanti in piccole e solide casse di legno chiaro con sopra un disegno a carboncino del pensatore di Rodin. Le cose importanti con una carta di colore speciale che avvolge il cartone ondulato, che non si debbano confondere o perdere, per carità. I libri divisi per argomento. O forse non sarebbe meglio per autore? O magari per valore?
Ecco. Una scatola foderata di carta arancione dove scrivere “Belli”. Un’altra, sobria e con maniglie aggiuntive per facilitarne il trasporto, dichiarerà “Utili”. Un’altra, anonima, con un piccolo segno quasi invisibile su di un fianco, sarà quella che sottovoce si suggerirà al trasportatore di abbandonare nel cassonetto, con poche lacrime.
Poi, i dischi. Induce a riflessioni l’idea di trasportare canzoni dentro cubi di cartone. Si tenga presente che in quelle grosse cose rettangolari che portano dentro piccole cose quadrate che incorporano piccole cose tonde che hanno dentro altre cose piccolissime, ovali, nere o bianche, con zampette e puntini, ci sono anche pomeriggi d’estate, leggere tachicardie, inspirazioni ed espirazioni, schizzi di saliva, qualche accenno di danza. C’è da chiedersi come tutto ciò influirà sullo spostamento dei colli.
Poi, dopo che sembra di aver quasi finito e l’orologio impaziente sta per segnare la scadenza, emergono le cose dimenticate, quelle che sono rimaste fuori per distrazione o per qualche occulta volontà, inspiegabile. Il piumino di penne di struzzo. L’accendino tirolese. La damigiana dell’Ottocento, l’arco del contrabbasso. Il tubo mancante. Una scatola che contenga queste cose di che colore sarà, quale didascalia porterà sul cartone?
Ma è arrivato il camion, è sotto il palazzo. Non c’è più tempo per divagazioni oziose. Salgono per le scale ed entrano in casa uomini nerboruti in tuta blu, sollevano e portano via pianoforti e guardaroba come fossero bare. Si, è evidente: questa circostanza ha parecchio in comune col rito funebre:
Prendere qualcosa. Inserirlo in un involucro solido e ben chiuso, con una buona imbottitura. Tenerlo per un po’ in mezzo, esposto, al centro del locale, a suscitare riflessioni profonde sull’impermanenza delle cose. Poi, issarlo in spalla e infilarlo in un autocarro. Trasportarlo in un altro luogo. Passato un certo periodo, procedere alla riapertura, verificare l’integrità del contenuto e collocarlo nella sua sistemazione definitiva. Ricordarsene ogni tanto.
Però, a differenza dei funerali, dove si parla piano e si elogia l’impacchettato, qui, con voce alta e concitata, se ne depreca la grandezza, il peso, si biasimano i suoi aspetti taglienti e spigolosi. E talvolta, ahimè, il riferimento al trascendente prende corpo in forma di bestemmia, quando lo pseudocadavere si abbatte su di un piede, per quanto nerboruto e avvezzo. E’ una mistica bizzarra e capovolta, questa. E, a proposito, NON CAPOVOLGERE.
Infine, una volta preso possesso della casa nuova, odorosa di pittura fresca e promettente come un foglio bianco, si va incontro alla cerimonia della riapertura (esumazione?) e del riposizionamento nel mondo, che nel frattempo è cambiato. Un solo, ultimo consiglio ci sentiamo di dare: non affannarsi, non cercare di individuare la migliore tra le innumerevoli possibili combinazioni tra lo spazio e le cose. E’ uno sforzo vano. Aprite i pacchi e sistematene il contenuto dove capita. Lasciate che siano loro, gli oggetti, a trovare il posto migliore dove trascorrere il resto della loro nuova vita. Considerate la possibilità di farlo anche per voi stessi. Il vostro trasloco, in realtà, comincia adesso.