Sono andato a vedere questo film senza particolare interesse od entusiasmo. Non perchè i film di Amelio in genere mi dispiacciano, ma più per una sorta di sotterraneo pregiudizio verso la categoria film italiano di regista impegnato uscito fuori negli anni 80, peggio se diventato col tempo una piccola istituzione (gli Oscar sono molto pericolosi in questo senso). Ma, una volta in sala, di solito riesco a far cadere il pregiudizio.
In questo caso, oltre al pregiudizio stava collassando anche la mia cervicale, costretta a movimenti degni di un contorsionista poter vedere il film decentemente, dal tristo posto in seconda fila che avevamo rimediato all’ultimo momento negli anfratti del Modernissimo.
Tuttavia, (direbbe il saggio che non tutti i mali vengono per nuocere), questa spiacevole circostanza ha comportato un vantaggio collaterale, almeno ai fini di un più lucido giudizio sul film. Che, banalmente, è molto bello nella prima parte, e gira a vuoto nella seconda, esattamente come ha fatto il mio collo indolenzito, vero termometro critico. Infatti mentre durante il primo tempo, preso com’ero dalle immagini, sono riuscito a stabilire un ragionevole compromesso con la muscolatura compres(s)a tra i trapezi e la nuca, nel secondo mi pareva di sentire la medesima muscolatura che insorgeva dicendomi: mò basta! Qui si esagera…
Peccato. Questo road movie sulle strade della Cina ha un inizio folgorante. L’interpretazione di Castellitto e della giovane cinese (di cui non ricordo il nome), la storia che ti prende, le immagini in quasi perfetto equilibrio tra l’attenzione ai personaggi e quella a un paesaggio che non può non sorprenderti con le sue bellezze e contraddizioni, ti riempiono di aspettative per qualcosa che non arriva. La storia si perde, rallenta, s’inceppa, si fa ambigua (avete presente quando alla fine del film si dibatte animatamente tra amici non se ti è piaciuto o no, ma su che cosa è realmente successo nella storia, della quali alcuni hanno capito esattamente l’opposto degli altri, e si cerca di convincersi a vicenda che la propria interpretazione è quella giusta?… ecco). Un profluvio di ellissi, di pezzi mancanti (in tutti i sensi… se lo vedete capirete a cosa mi riferisco), un’indeterminatezza che vorrebbe essere poetica ma che a me ha dato un banale senso d’incompiutezza. Nel bene e nel male, questo film mi ha in più di un momento ricordato il primo Wim Wenders, quello degli anni ’70, dei film con Rudiger Vogler. Il vantaggio è che Castellitto è certamente più espressivo del suddetto teutonico attore. Lo svantaggio è che non solo probabilmente su questi territori Wenders si muoveva meglio, ma anche, temo, che a rivedere oggi certi capolavori “Fenomenologici” che tanto ci erano piaciuti all’epoca, il nostro fisico tollererebbe peggio certi falsi movimenti. Come del resto il mio collo. Anche in questo caso, forse è l’età.
Il conto:
Spesi: 7 euro
Valore effettivo: 5,50 euro
Bilancio: -1,50 euro
Sicuramente l’età incide sul giudizio… Ricordo di “fruizioni” giovanili di 2 o anche 3 film di seguito del succitato Wenders in sale d’essai napoletane, oramai morte e sepolte, che non provocavano nè risentimenti cervicali nè tantomeno cadute d’ernia. Altri tempi, altri anni… soprattutto altro fisico ! E parliamo del Wenders della prima fase, ovviamente… Non ho visto il film di Amelio, ma per certi “tromboni” la mia stroncatura è preventiva.
Bè, molti di quei film mi sa che li vedemmo assieme, sulle sgangherate poltrone del NO o del Micro d’essai (anche dell’Astra, che però vivacchia ancora…). Comunque, capisco l’avversione al trombonismo (è precisamente il pregiudizio di cui parlavo all’inizio), ma alle volte bisogna essere elastici. Veditelo, questo film. Se hai il collo in buone condizioni, non è spiacevole….