26 Aprile 2025

izzehG ocirnE

Ho bisogno di fare una premessa.
Non mi piace incazzarmi, fare il moralista, fare il fustigatore di costumi, l’indignato. E questo è uno di quei rari casi in cui combatto con un’onda emotiva forte, personale. Sono tentato da tutte quelle cose che in genere tento di evitare. Ho voglia di incazzarmi davvero, e di prendermela personalmente con qualcuno. Cercherò di non farlo. Ma non ho intenzione di nascondere il mio stato d’animo.
In questi giorni, si festeggiano i 18 anni di Blob. Tutti a celebrare, dagli addetti ai lavori fino a Prodi e Berlusconi che inviano messaggi ammantati di compiacente circostanza. Fin qui tutto normale. Anch’io, in generale, sono stato e sono uno spettatore di questa rivoluzionaria trasmissione, che mi ha regalato di tempo in tempo momenti di divertimento, di inquietudine e di irritazione.
Ma succede questo: è stata realizzata un trasmissione speciale per l’anniversario, presentata in gran pompa ieri. Il titolo è Don’t panic. La frase riprende quella pronunciata dall’assistente del tesoriere della Pennsylvania, Budd Dwyer, quando quest’ultimo si suicidò sparandosi in bocca in diretta televisiva. Quel filmato fu passato su Blob in prima serata, integralmente, e fu uno dei momenti “topici”, per così dire della sua storia.

Qui devo fermarmi e aprire una parentesi del tutto personale. Per puro caso mi trovavo davanti al televisore, quella sera, verso le otto. Ed è stata una delle esperienze più traumatizzanti, “cattive”, oscene, che abbia mai vissuto, indelebilmente rimasta ancora oggi a turbare la mia memoria. Mi risuona ancora nelle orecchie la canzone Pata Pata, che era il sottofondo di un mostruoso crescendo di orrori, che dalle impiccagioni in piazza passava alle fucilazioni, per concludere con quest’uomo che, estraeva una pistola da un sacchetto, se la infilava in bocca e faceva fuoco, restando accasciato, la faccia immobile e deformata dallo sparo, in primo piano, ad indugiare sul fiume di sangue che scorreva dal naso e dalla bocca, immagine che insieme alla canzone e agli urli della folla dell’audio originale costruiva un concentrato che non riesco a non definire infernale, nel senso letterale. Ancora oggi, quando sento quella canzone (famosa per la sua allegria, una danza etnopop antelitteram), non riesco a non pensare a quella sera, a quelle immagini.
Ricordo bene che all’epoca, dopo lo choc del momento, provai una rabbia indicibile nei confronti di Enrico Ghezzi. Lo considerai, per quel che aveva fatto, uno stronzo irresponsabile. Uno che, beandosi del proprio status di irregolare, intellettuale, guastatore, provocatore etc. (metteteci qualsiasi aggettivo gradiate), si rendeva colpevole di un vero e proprio attentato alle spalle alla psiche del pubblico. Non voglio parlare della mia o di quella degli adulti più o meno sensibili che hanno vissuto loro malgrado quell’esperienza. Parlo, per banale e poco engagè che sia, dei possibili, probabili migliaia di bambini e ragazzi che, alle otto di sera, come me per caso hanno hanno ricevuto quell’inferno attraverso gli occhi. Ho quasi pianto, davvero, immaginandomi cosa potesse essere vivere quell’esperienza a sette, otto, dieci anni. Ed ero molto, ma molto incazzato. Poichè, come è naturale, la cosa scatenò un putiferio di polemiche, lo stesso Ghezzi, ricordo, ammise che era stato un errore, dovuto a superficialità. Questo all’epoca. Oggi, Enrico Ghezzi, definendosi parte di “Un gruppo di anarchici che resiste” intitola significativamente lo speciale celebrativo di Blob utilizzando quella frase, rivendicando, in qualche modo, quel momento d’abisso:

…Ghezzi, rifacendosi alle recentissime immagini dello sgozzamento dell’interprete di Mastrogiacomo, si lancia in una dotta spiegazione sull’oscenità. «Chissà se sia più osceno mostrare la morte fino a un attimo prima che avvenga o mostrarla per intero senza interrompere l’orrore».

Bene. A quando lo sdoganamento dei mondo movie e di Jacopetti, nuovo alfiere dei movimenti, profeta dello sguardo alternativo? O una notte dei decapitati? O un Natural Born Killers Show, con video amatoriali dal campus della Virginia? Andiamo in fondo, davvero in fondo, No?

Oggi io non sono più disposto all’indulgenza verso questo campione dell’irresponsabilità “anarchica” elevata a sistema, questo astruso pippaiolo fuori sincrono, teorico dell’estremo, dell’eterodosso, dell’oltranza debordante, cui tutto è concesso in ragione della propria luccicanza trendy (per modo di dire: Il suo lessico ammassa rimasugli anni ’70, ciarpame postmoderno anni ’80, seghe intellettuali da cineclub situazionista, tutta roba fuori moda. Il suo look da Paperoga sballato è patetico. I suoi fuori sincrono fan venir voglia di fracassare il televisore). Verso lui e quelli come lui, che hanno un rapporto così distorto e pericoloso con la realtà e le immagini che la rappresentano.
Penso che a cinquant’anni, quando si fa televisione, bisogna porsi seriamente il problema della responsabilità che questo comporta, uscire dall’adolescenza. Darsi una regolata. Altrimenti non si è molto diversi da Michele Cucuzza. Anzi, peggio.

2 thoughts on “Panic

  1. In effetti, la scena del suicidio “in diretta”di Dwyer è restata nella memoria di molti. Marco ha ragione. Va però aggiunto che oggi su internet è possibile vedere e scaricare scene anche peggiori, a disposizione di chiunque, adulti e bambini. Il dibattito sul “confine”, sul limite che non si dovrebbe superare in tv forse è già superato, purtroppo.

  2. Certo, internet… Ma il fatto di sapere o almeno immaginare a cosa si va incontro quando si scarica è un dettaglio non marginale, rispetto all’aspettarsi di vedere mike bongiorno o berlusconi e ritrovarsi nel mattatoio senza averlo minimamente scelto.

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