L’inerzia settembrina, come è capitato altre volte, mi ha portato ad accumulare un arretrato di film visti e di cui val la pena di parlare. Lo faccio collettivamente ora. I film sono Shrek terzo, La ragazza del lago, I Simpson ed Espiazione.
Due film d’animazione americani e due “drammatici” europei di origine letteraria. Polarità piuttosto differenziate, direi. Se proprio devo dire quale delle due, globalmente, ha prevalso in questo confonto di inizio stagione, direi senz’altro la prima, ai punti. Ma io, si sa, sono uno snob all’incontrario, e tendo a simpatizzare aprioristicamente per ciò che, a-ideologicamente non ha altre ambizioni dichiarate che quella di fare un prodotto artigianale divertente, ben fatto e possibilmente intelligente, piuttosto che per ciò che invece è in odore o puzza di “cultura alta” e spesso produce insostenibili dilatazioni scrotali. Ma basta con le dichiarazioni di principio e veniamo al dettaglio.
Ho visto il terzo episodio della saga dell’orco verde con le orecchie a trombetta insieme ad un amica, abituale dei film d’essai e completamente vergine rispetto al “genere” (si è lasciata convincere per la stima che mi porta, cosa che ha dimolto gratificato il mio ego particolarmente bisognoso di conforti, in questi tristi tempi). E’ uscita dalla sala piacevolmente sorpresa, mentre la guardavo di sottecchi con sorniona soddisfazione. C’è ancora chi non ha idea di quanto i film di animazione contemporanei, o almeno quelli dei leader Pixar-Disney e Dreamworks-Spielberg rappresentino un’eccellenza cinematografica assoluta, della medesima dignità dei film “normali”, e spesso assai migliori, in termini di freschezza di idee, di sceneggiatura, di equilibrio tra intelligenza e spettacolarità. Shrek terzo, come i due precedenti, non fa eccezione, e garantisce un’ora e mezza all’insegna di trovate irresistibili, di satireggiamenti di stereotipi, citazioni e parodie di ogni tipo, con un sottilissimo equilibrio tra il politicamente quasi-scorretto ed una “morale” ad uso dei giovani virgulti che è certo corretta, ma senza virgolette e senza moralismi: un incentivo a sviluppare ironia ed intelligenza. In questo episodio, orco e orchessa rinunciano al trono per potersi godere la quiete flatulenta della loro casa nella palude, con la novità di una prole di orchetti neonati produttori delle più variopinte e maleodoranti secrezioni e deiezioni. Tutto questo non prima di avere sconfitto il vanesio principe, attore teatrale frustrato, che sobilla i “cattivi” delle fiabe classiche, perdenti ed infelici, verso una sorta di nemesi globale contro i buoni vincenti. Naturalmente ci sarà qualche inconveniente etico-psicologico che impedirà ai vari Capitan Uncino, Streghe, Mangiafuochi, principesse cattive ed alberi strangolatori di trionfare su un Pinocchio inaffidabile, sulla Bella addormentata affetta da narcolessia, sul biscotto di pan di zenzero sempre a rischio di frantumamento e dissoluzione in caffellatte e via dicendo. Vanno segnalate almeno, tra le mille trovate, la geniale entrata in scena di un Mago Merlino rincoglionito e new age, psicoterapeuta e un po’ ciarlatano. E l’uso inopinato di canzoni pop-rock, dai Led Zeppelin a Paul McCartney a fare da contrappunto ironico a varie scene madri.
Solo leggermente diverso il discorso sui Simpson, esordio cinematografico della serie televisiva cult politically uncorrect, questa si, per definizione. Diverso ed ovviamente più rischioso per la natura stessa dell’operazione, che trasporta in un lungometraggio caratteri e storie abituati a fulminare nel respiro breve degli episodi tv. Non sono un esegeta, di quelli che conosce a memoria tutte le puntate, per motivi logistici più che per mancanza di entusiasmo nei confronti del magnifico e deplorevole Homer e di tutto il serraglio dei fantastici personaggi creati da Matt Groening. Quindi non posso stare a guardare il pelo con l’attitudine dello specialista. Ma a me pare che l’operazione sia riuscita. Ci si diverte parecchio, e non si ha l’impressione di un “adattamento”, ma di un prodotto che funziona bene sul grande schermo, con una storia originale e con le abituali genialità corrosive ed esilaranti che hanno reso celebre la sgangherata famiglia di Springfield e i loro concittadini.
E passiamo ai film “seri”, per così dire.
La ragazza del lago, diciamolo subito, è stata una bella sorpresa. Un esordio italiano di quelli che non ti fanno rimpiangere di aver corso il rischio. Un film intenso, asciutto, ben girato ed con magnifici interpreti. Tratto da un romanzo di una scrittrice norvegese, Karin Fossum, traspone questa storia di un delitto e dell’indagine che ne segue, dal nord estremo della Scandinavia al nord padano della provincia di Treviso. E della dialettica tra il freddo ed il caldo fa la sua cifra più impalpabile. Seguendo un filone che guarda chiaramente a Dürrenmatt e Simenon, mette a nudo lentamente, attraversando lo scenario apparentemente immobile e grigio in cui si muovono le persone vicine alla vittima, un paesaggio di dolori immedicabili ed impronunciabili. Il tutto per il tramite del Commissario di polizia meridionale freddo ed apparentemente impassibile interpretato da Toni Servillo, capace -come Maigret- di comprendere le persone e le loro oscurità perchè egli stesso interno ad un appartato vortice di dolori e fatiche esistenziali. Paradossalmente, se c’è un limite in questa bella opera prima di Andrea Molaioli, sta forse proprio nella magnifica interpretazione di Servillo, sempre più mosso da un virtuosismo che lo rende pericolosamente vicino ad una maschera, ad un passo dal manierismo. La “teatralità” che diventa artificio e ripetizione del bel gesto artistico. Ma è solo un dubbio che non compromette certo la bellezza di questo film.
Last e in questo caso anche least, Espiazione. Metto le mani avanti e dico che non ho letto il libro di Ian McEwan, che peraltro è uno scrittore che mi piace molto. Quindi non so dire se quanto non mi ha convinto di questa storia e della sua rappresentazione sia da attribuire al regista e quanto allo scrittore inglese. So solo che, a fronte di alcuni momenti visivamente molto belli, ho provato spesso un senso d’irritazione durante la proiezione. Qui c’è il dramma, il mèlo spinto ai limiti del kitsch, con sottolineature di orchestre vibranti di violini lacrimosi, scenari leccatissimi da cartolina, attitudine permanente alla tragedia. Tutto troppo perfetto, da un lato, e troppo “carico” dall’altro. Eppure McEwan, che non è certo un allegrone, mi pare uno scrittore incline alla sobrietà ed alla misura. In questo caso, oltre ad esser produttore esecutivo del film, pare che abbia anche espresso il suo gradimento per il risultato. C’è qualcosa che non quadra. Forse un giorno leggerò il libro e vi saprò dire. Nel frattempo, dovendo scegliere, preferite senz’altro Shrek. Sarà pure un orco, ma è decisamente più onesto.