Raccontiamo le cose dal principio. Da molto tempo volevo leggere Ellroy, di cui ho sempre sentito un gran bene, e volevo cominciare proprio con La Dalia Nera. Saputo che Brian De Palma ne aveva tratto un film, ho deciso di seguire rigorosamente un precetto che non avevo mai realmente rispettato: prima leggere il libro, poi vedere il film. E così ho fatto. Sono andato in libreria per acquistare -povero ingenuo- l’edizione degli Oscar Mondadori, la più diffusa, economica ed invitante. La cerco, non la trovo, e scopro che è stata messa fuori catalogo e ripubblicata in edizione hardcover, con inevitabile fascetta che parla del film, ed al prezzo di 18 euro e 60 (sconto del 10%, bontà loro, alla Feltrinelli). Bestemmio sottovoce, lo compro. Lo leggo in pochissimo tempo. Bello. All’altezza delle aspettative. Corposo, in quantità di pagine e di strati narrativi, temi, storie che si dipanano. Alla fine, mi sono detto che trarne un film di un paio d’ore, accettabilmente fedele, deve essere molto difficile, senza banalizzare e/o massacrare col machete il lavoro dello scrittore.
Vado quindi a cinema con dubbi (i sopracitati, e le prime deluse recensioni da Venezia) e speranze (De Palma, ed il fatto che Ellroy in persona abbia dato il suo placet all’operazione).
Esco dal cinema con un senso di delusione molto prossimo all’irritazione.
Non è certamente il film che mi auguravo, e che avrebbe potuto essere. E’ un’operazione che fa rimanere, del libro, solo la superfice, patinata finchè si vuole, elegante, molto spesso inutile. La superfice della storia, mutilata arbitrariamente, spesso reinventata di sana pianta senza motivo. La superfice dei personaggi, che sulla pagina hanno ben altre luci ed ombre. La superfice dei temi e delle ossessioni che sono il nerbo della narrazione di Ellroy: Il male, l’ineluttabilità della sua presenza in ciascuno, soprattutto nei “buoni”, le relazioni ossessive, le luci di Hollywood e le sue zone oscure come metafora globale, l’America priva di innocenza ed allo stesso tempo madre impossibile da odiare. Tutto ciò scompare senza quasi lasciare traccia in un film che forse gratificherà qualche onanista cinefilo per le sue citazioni, la fotografia, i movimenti di macchina. Per carità, niente da dire. De Palma è De Palma. Però questo film andava fatto, se proprio andava fatto, da qualcun’altro. L’unico che riesco a immaginare vincente in questa sfida improba avrebbe potuto essere Kubrick. Ma questo è solo un sogno. E ho notato una cosa, che mi ha fatto pensare che forse non è un caso l’averlo sognato. Il produttore di questo film è James B. Harris, che è stato, appunto, il socio e produttore dei primi film di Kubrick, quelli americani: Il bacio dell’assassino, Rapina a mano armata, Orizzonti di gloria, Lolita. E’ anziano, non produceva film da anni. Il fatto di coinvolgerlo in quest’operazione rivela forse un’intenzione. Fallita, purtroppo.
Ultima nota per gli attori. Mi sono sembrati omogenei all’insieme, cioè alla sua immemorabilità. Ho sciolto i miei dubbi su Scarlett Johansson. O meglio, li ho confermati: come attrice mi sembra assai mediocre, come sex symbol le preferisco Elena Sofia Ricci (non scherzo: dovessi scegliere tra le due per una serata intima non avrei dubbi: anche in questo caso, forse sarà l’età). Ben altro discorso per Hilary Swank, bella, sensuale e la più brava del cast.
Il conto:
Spesi: 7,50 euro
Valore effettivo: 4,50 euro
Bilancio: -3 euro
da Ellroyano della prima ora (o della secoonda?, boh…) ho sempre sostenuto che i romanzi del suddetto sono intrasportabili sul grande schermo, per i motivi acutamente evidenziati dal Titolare, e per ragioni forse di opportunità legate alla estrema violenza delle storie narrate. La Dalia Nera, letta ahimè in gioventù, ne è esempio lampante. Così come LA Confidential, anch’esso portato sul grande schermo con megaproduzione hollywoodiana… Due fallimenti ! E non poteva essere altrimenti…
Mi tolgo doverosamente il cappello: sei il mio Ellroyista di rierimento…..
Tuttavia, -non avendo letto il libro- L.A. confidential mi era piaciuto. Al di là dei confronti con l’opera originale, è senz’altro un film migliore…. non trovi?
Sono d’accordo con te… il film mi ha lasciato un senso di delusione cocente rispetto all’entusiasmo che avevo provato leggendo il libro… meglio senz’altro la trasposizione cinematografica di l.a. confidential, ma come libro black dahlia è insuperabile.