26 Aprile 2025

Nino FerrerLa memoria è un’ossessione, in generale, per molti. Per me senz’altro. Mi rendo conto che più passa il tempo più corro il rischio di sprofondare in un piccolo inferno autoreferenziale, fatto di infanzia congelata e di tanti frammenti autoconsolatori: canzoni, ectoplasmi televisivi, oggetti, eventi remoti che spesso mi allontanano dal presente più di quanto vorrebbero essere (e spesso sono davvero) una chiave d’interpretazione, una luce sull’oggi.
Freno la pippa speculativa e vengo al dunque. Voglio parlare oggi, ad otto anni dalla sua morte, di una persona che ho molto amato da bambino e che, riscoperto da grande, amo con maggior consapevolezza e tenerezza. Questa persona è Nino Ferrer.
Lo adoravo quando cantava (pochi cantanti non mi annoiavano, nella noia generale della mia infanzia televisiva, e lui era il numero uno del divertimento), e quando faceva lo scemo nei varietà del sabato, sempre con quell’aria furba da guascone sciupafemmine e pieno di vita. E poi, il primo disco che ho ascoltato in assoluto, credo, è stato suo. Lo comprò un mio fratello. Girava in continuazione sulla fonovaligia di casa. Era Le Telefon: chissà perchè, nella versione francese.
Mentre crescevo, lui scompariva dalle scene, almeno in Italia. Non era certamente più un popolare artista quando, durante un viaggio in Francia, recuperai una sua cassetta, e mi dissi cavolo, ma era davvero bravo. Uno che era in grado di fare del R’n’B di tutto rispetto essendo biondo, mezzo francese e mezzo italiano, e senza sembrare ridicolo. Ma non solo. Uno che scriveva belle canzoni, che sapeva attraversare con leggerezza il beat, il jazz, il blues, la bossanova. Che suonava con musicisti con le strapalle (Manu Dibango tra gli altri).
E poi, uno che sapeva scrivere e giocare con grande intelligenza con le parole. I suoi testi, quelli che non erano marchette d’occasione (e pure quelle erano carine), sono spesso pieni di invenzioni tipicamente francesi, di quella tradizione ludico-letteraria che va da Roussel a Queneau, all’Oulipo: Omofonie, calembour, gusto della costruzione delle frasi e soprattutto tassonomie, molto alla Perec (tanto per gradire: un altra presenza ossessiva e produttrice di ossessioni e di memoria. Il cerchio si è chiuso quando, rileggendo Mi Ricordo, mi sono imbattuto in “Mi ricordo Gaston y a l’téléfon qui son“).
C’è da poco un suo sito ufficiale: è carino e ben fatto. Vale la pena di dargli un’occhiata.
L’ultimo ricordo che depongo qui è quello di otto anni fa, in un agosto più o meno come gli altri, più o meno come questo. Lessi o sentii per radio che l’uomo che per me aveva rappresentato l’archetipo, l’imprinting originario dell’allegria e della gioia di vivere, si era sucidato. Rimasi sconvolto. Nino Ferrer si era sparato una fucilata nella sua casa di campagna, il 13 agosto del 1998, due giorni prima del suo sessantaquattresimo compleanno.

1 thought on “Il Re d’Inghilterra

  1. condivido molto di quanto è stato scritto sull’articolo riguardante nino ferrer, e mi piacerebbe che si parlasse ancora. di quel periodo magico, forse perchè ero solo un ragazzino…
    è stato un personaggio unico, e quando poco tempo fa mi sono imbattuto in una sua canzone, dopo 35 anni…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *